Commento alla Regola di San Benedetto. Capitolo quindicesimo

A cura di don Massimo Lapponi e Bernardino Manzocchi.

Il capitolo 15, dal titolo “Quando si canta l’Alleluia”, stabilisce le linee guida per l’uso dell’«Alleluia» durante l’anno liturgico, mostrando una profonda sensibilità per il tempo liturgico e l’importanza della celebrazione della Pasqua e della Pentecoste. L’«Alleluia» è un simbolo carico di significato. È un’espressione di gioia e di lode che trascende il semplice linguaggio. Possiamo vedere l’«Alleluia» come un esempio di linguaggio performativo, nel senso di John Langshaw Austin, dove l’atto di pronunciare l’«Alleluia» non descrive un certo stato delle cose, non espone un qualche fatto, bensì permette al parlante di compiere una vera e propria azione che crea una realtà di gioia e celebrazione.

San Benedetto era profondamente consapevole del significato liturgico dei vari periodi dell’anno. L’«Alleluia» è un’espressione di gioia e di lode a Dio, particolarmente appropriata durante il tempo pasquale, che ricorre dalla celebrazione della Risurrezione di Cristo alla discesa dello Spirito Santo, ovvero da Pasqua a Pentecoste. Durante questo periodio l’uso frequente dell’«Alleluia» nelle antifone e nei responsori esprime la gioia della Chiesa per la vittoria di Cristo sulla morte e per il dono dello Spirito Santo. San Benedetto sottolinea l’importanza del tempo e del suo ritmo. La regolazione dell’uso dell’«Alleluia» secondo i periodi dell’anno liturgico riflette una concezione del tempo non lineare, ma ciclica e sacra. Questo ritmo ciclico è fondamentale per comprendere la vita umana come un processo di crescita, riflessione e celebrazione, in cui i momenti di gioia e di penitenza si alternano e si completano a vicenda. Questa visione può essere collegata alla concezione del tempo di filosofi come Agostino, che vede il tempo come un flusso continuo verso l’eternità. La liturgia non è solo un insieme di pratiche religiose, ma una forma di espressione esistenziale. La regolazione dell’«Alleluia» invita i monaci a vivere in profondità ogni stagione liturgica, riconoscendo e celebrando le diverse dimensioni dell’esperienza umana. Questa prospettiva si avvicina alla filosofia di Heidegger, che parla dell’essere-nel-mondo e dell’autenticità. La partecipazione consapevole ai riti liturgici diventa un modo per i monaci di confrontarsi con la loro esistenza e il loro rapporto con il divino.

Da Pentecoste fino all’inizio della Quaresima l’«Alleluia» viene utilizzato in modo più moderato. Viene mantenuto durante l’Ufficio delle Letture con i sei salmi della seconda parte, il che permette di mantenere un tono di gioia anche durante il tempo ordinario, ma senza la stessa intensità del tempi pasquale. Questo periodo riflette una transizione verso una routine liturgica più sobria.

Durante la Quaresima, un periodo di penitenza e riflessione sulla Passione di Cristo, l’«Alleluia» viene completamente omesso. Questo silenzio dell’«Alleluia» sottolinea il carattere penitenziale del periodo, preparando i fedeli alla celebrazione della Pasqua. La rinuncia all’«Alleluia» serve a creare un contrasto significativo che esalta ulteriormente la gioia della Risurrezione quando viene reintrodotto. L’alternanza tra l’uso dell’«Alleluia» durante i tempi di festa e la sua omissione durante la Quaresima richiama la dualità tra gioia e penitenza nella vita umana. Questa dualità può essere vista come un riflesso della condizione umana, che oscilla tra momenti di esultanza e periodi di sofferenza e introspezione. Questa alternanza può essere interpretata attraverso la lente dell’esistenzialismo, che esplora come gli esseri umani trovano significato e autenticità attraverso l’esperienza sia della gioia che del dolore.

La regolamentazione dell’uso dell’«Alleluia» nella liturgia quotidiana non è solo una questione di ordine e disciplina, ma ha un profondo significato spirituale. Aiuta i monaci e i fedeli a entrare più profondamente nel mistero della vita di Cristo attraverso l’anno liturgico. Questa alternanza di gioia e penitenza, di canto e silenzio, rispecchia la dinamica della vita cristiana: momenti di gioia e celebrazione alternati a momenti di riflessione e conversione. San Benedetto, con queste indicazioni, mostra una profonda comprensione della necessità di armonizzare la vita spirituale con i ritmi della liturgia.

Il capitolo 15 invita a vivere intensamente ogni periodo dell’anno liturgico, riconoscendo il valore di ogni momento e la capacità di avvicinarci a Dio. L’uso dell’«Alleluia» diventa così un mezzo per esprimere la partecipazione al mistero della redenzione e per vivere con serietà i tempi di penitenza e riflessione.

Capitolo 15 della Regola di San Benedetto.

Da Pasqua a Pentecoste si canti costantemente l’«Alleluia» sia nei salmi come nei responsori. Da Pentecoste all’inizio di Quaresima, nell’Ufficio delle Letture lo si canti soltanto con i sei salmi della seconda parte. Nelle domeniche fuori del tempo di Quaresima si dicano con l’«Alleluia» i cantici, le Lodi mattutine e le Ore di Prima, Terza, Sesta e Nona; il Vespro invece si reciti con le antifone. I responsori abbiano l’«Alleluia» soltanto da Pasqua a Pentecoste.

Traduzione a cura della comunità dell’abbazia di Noci

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