L’inno al Beato Placido

Di Don Massimo LAPPONI.

L’inno al Beato Placido Riccardi (1844-1915), il cui corpo è esposto intatto sotto un altare della chiesa di Farfa, è stata una delle mie prime composizioni. C’era già un inno al Beato Placido, ma non mi piaceva. Anche ad altri non piaceva, e non era di facile esecuzione. Così volli misurarmi con l’ingrato compito di scriverne uno nuovo. Essendo alle mie prime armi, mi trovai subito di fronte ad insuperabili difficoltà. Come si scrive un inno? Come si inventa una melodia? Tutte domande a cui non sapevo rispondere. Una delle prime cose che feci fu di prendere l’enciclopedia Treccani e cercare la voce “Inno”, per capire bene che cosa andavo a fare. E che cosa successe? La prima voce dell’enciclopedia che mi venne sotto gli occhi, sfogliando le pagine della lettera “I”, fu: “Ippica”. Come dire: datti all’ippica! Molto incoraggiante!

La presi con umorismo e mi ostinai a cercare di inventare una melodia. Niente! Sembrava proprio una cosa impossibile. Ma come hanno fatto i grandi musicisti a scrivere musiche così belle? Visto che non approdavo a nulla, stavo per rinunciare, quando, non so neanch’io come, strimpellando sul pianoforte, improvvisamente venne fuori un motivo che mi sembrava niente male. Con molta emozione provai ad elaborarlo, seguendo quelle poche regole che vagamente conoscevo, e, dopo diverse prove, mi sembrò di aver accomodato in modo accettabile strofa e ritornello. C’era ora il problema delle parole, secondo un sistema che poi sarebbe diventato abituale: scrivere prima la melodia e poi adattarvi le parole. Per quest’altra incombenza ero un tantino più attrezzato, avendo fatto già in passato qualche esperienza di versificazione. Si trattava anche di interpretare fedelmente il carattere proprio della spiritualità del Beato Placido, così diversa da quella più diffusa ai nostri giorni, tutta rivolta all’operosità sociale. La sfida era intrigante, dato che fin dall’inizio mi ero proposto di andare contro l’eccesso di socializzazione che caratterizzava l’impegno cristiano dei nostri tempi e di riaffermare i valori dell’ascesi tradizionale, così largamente disprezzati e dimenticati. Ma ovviamente nel testo dell’inno non doveva apparire alcuna polemica. Con semplicità bisognava interpretare genuinamente l’animo del beato e farlo parlare senza falsi adattamenti, anche se sarebbe apparso fuori moda.

Così, con un po’ di lavoro, vennero fuori quattro strofe dell’inno. Nell’insieme mi soddisfacevano. L’ultima forse era un po’ influenzata dal volume “Racconti di un pellegrino russo”, che avevo letto recentemente. Mi piaceva meno della altre, ma la lasciai. Nell’esprimere quello che mi sembrava l’animo genuino del Beato Placido, non avevo mancato di cercare di metterne il luce l’aspetto misterioso e paradossale, per il quale la sua esperienza di umile nascondimento appariva quasi provvidenziale custodia della salvezza di tutto il mondo. Indubbiamente molto provocatorie erano le parole “ignoto a tutti gli uomini”, tanto che fui tentato di cambiarle.

Ma poi le lasciai. Ancora più fuori moda e “scandalose” apparivano le parole “morire ad ogni amore del mondo”. Ma esse esprimevano alla lettera la spiritualità del beato e del suo tempo – e di una lunga e gloriosa tradizione ascetica, che ai nostri tempi era, ed è, oggetto di scherno e di disprezzo. Ma proprio per questo anch’esse le lasciai, facendo forza sul concetto, chiaramente espresso, che il Beato desiderava sì morire ad ogni amore del mondo, ma “sul cuore di Cristo”, che – sottinteso – proprio per salvare il mondo aveva offerto la sua vita. L’ultimo impegno era l’armonizzazione. Ma su questo punto almeno allora mi trovavo troppo poco attrezzato. Provai, ma con un pessimo risultato. Cosicché dovetti infine ricorrere all’amico maestro Mauro Porfiri di Corinaldo. E la sua armonizzazione è quella che è rimasta finora. Il risultato?

Queste sono le parole:


1. Ode Don Placido Cristo dal ciel

al cuore suo parlare

ed all’Altissimo l’alma fedel

per sempre vuol donare.


(Rit.) Ignoto a tutti gli uomini

anch’io vorrei, Signore,

del mondo ad ogni amore

sul cuore tuo morir.


2. Nel cuore provvido del Redentor,

dal mondo non amato,

trova Don Placido l’aureo tesor,

d’ogn’altro più pregiato.


(Rit.) Ignoto etc.

3. In solitudine vuole serbar

del mondo la salvezza

ed un’assidua prece elevar,

sola al suo cuor dolcezza.

(Rit.) Ignoto etc.


4. A noi dimentichi del Dio fedel,

in fondo all’alma ascoso,

mostra Don Placido l’intimo ciel,

sacro del cuor riposo.


(Rit.) Ignoto etc.


Proprio in questi giorni il maestro Giuseppe Occhioni mi ha inviato la registrazione di un’esecuzione dell’inno fatta a più voci, con grande professionalità, dal suo coro con accompagnamento orchestrale.

Inno al Beato Placido

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