Di Dom Eugenio Gargiulo O.S.B
Il contesto monastico. Correva l’anno 2010 quando il Capitolo Generale della Congregazione Cassinese, ormai l’ultimo della sua storia, decretò la sua annessione alla più recente Congregazione Sublacense, che l’anno successivo sarebbe stata da questa accettata. La Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata, con Decreto in data 10 febbraio 2013, sanciva quindi la “incorporazione” della Cassinese alla Sublacense, che assumeva il titolo di Congregazione Sublacense Cassinese.

Il tutto avveniva in un clima di diffusa mediocrità, non senza aspirazioni carrieristiche da parte di qualcuno, che non lasciava intravedere un autentico rinnovamento ed incremento dei nostri monasteri italiani. Sarebbero poi emerse addirittura situazioni insanabili riguardanti la vita comunitaria, nonché situazioni personali a dir poco sconvenienti. Soprattutto è emersa una più o meno volontaria incapacità di progettare qualcosa di nuovo, in linea con la gloriosa tradizione monastica italiana, che ha prodotto nei secoli “frutti e fiori santi” per rilanciare una vita monastica conforme al carisma di S. Benedetto, così come egli lo visse e poi espresse nella santa Regola. Un carisma da incarnare al presente, in un contesto socio-culturale quanto mai bisognoso di ideali e di valori a cui ispirarsi per costruire una nuova umanità per ducatum evangelii, sotto la guida del Vangelo, come precisa il santo Legislatore nel Prologo alla santa Regola.
È senza dubbio un periodo di crisi il nostro, di crisi a tutti i livelli, in cui anche il monachesimo, purtroppo, ha perso la sua forza attrattiva e, nello stesso tempo, diffusiva del messaggio di Cristo, al cui amore nulla, assolutamente nulla bisogna anteporre: ed è proprio questo il fulcro della regola benedettina, da vivere autenticamente nei nostri monasteri. Altro che mediocrità, falsità, raggiri, stili di vita addirittura indegni dell’essere umano.
Crisi del monachesimo, quindi, nel contesto di una crisi globale, eppure il tutto va considerato con spirito di fede, per cogliere i disegni divini, anche in un contesto di decadenza: a dirla con S. Agostino, vanno colti i segni della “nascita di un mondo nuovo”, grazie anche ad un autentico rinnovamento di vita monastica e al rifiorire dei nostri monasteri, come centri di cultura e di spiritualità.
I segni della rinascita di Farfa. Fin da quando nell’anno 2005 assunsi il ministero di Priore conventuale della comunità, ridotta quanto al numero dei monaci, tra i quali alcuni anziani, senza concrete prospettive di nuove vocazioni alla vita monastica – tuttora si affacciano ai nostri monasteri solo persone avanti in età, non del tutto equilibrate sul piano psicologico, alcune anche con problemi di altra natura – mi resi conto che qualcosa bisognava progettare, addirittura un’eventuale apertura alla missione ad gentes. Chiesi ai confratelli di pregare incessantemente perché il Signore ci desse qualche segno rivelatore della sua volontà.
Ed ecco il primo segno: verso la fine del mese di agosto 2010, proprio il mese successivo alla su citata decisione dell’ultimo Capitolo generale cassinese, venne a farmi visita la fondatrice di un istituto religioso femminile dello Sri Lanka, già isola di Ceylon, la quale era ritornata per qualche tempo in Italia, dopo esservi stata molti anni alla scuola di D. Divo Barsotti. Il suo scopo era quello di impiantarvi alcune comunità della sua fiorente fondazione ma anche di trovare una comunità benedettina maschile disposta a prendersi cura di alcuni giovani srilankesi di sua conoscenza desiderosi di abbracciare la vita religiosa, che non potevano essere accolti nel suo istituto per il quale non era previsto un ramo maschile. Rimanemmo d’accordo che sarei andato di persona appena possibile in Sri Lanka, la perla dell’Oceano indiano. E così arrivai all’aeroporto di Colombo il 19 ottobre dello stesso anno per una prima visita di alcuni giorni durante i quali incontrai i giovani che mi presentò la Suora che faceva anche da interprete. La mia prima impressione fu quanto mai positiva: intravedevo che qualcosa di buono e di santo si sarebbe potuto realizzare in un ambiente che appariva ancora incontaminato, non solo per la sua natura lussureggiante, per le sue coste meravigliose circondate da un mare limpido e cristallino ricco di svariate specie di pesci, per le sue risaie, per le sue piantagioni di thè di ottima qualità e di svariate specie di frutti tropicali, ma soprattutto per la semplicità, l’educazione e lo spiccato senso di ospitalità delle persone e la loro innata attitudine alla meditazione e alla preghiera. Quella cattolica è una minoranza, ma è rispettata dalla maggioranza buddista e si mostra quanto mai compatta nella partecipazione alla vita ecclesiale, in un contesto sociale di condivisione di valori ormai tramontati nel nostro mondo occidentale. Particolarmente forti sono i legami familiari. Avrei poi notato negli anni che qualcosa sta cambiando, soprattutto per lo sviluppo del turismo che, se pure porta benessere, lascia comunque qualche traccia del malcostume dilagante nella pseudo civiltà che si sta creando nella nostra società. Al che si aggiunge anche che coloro che fanno ritorno in Sri Lanka, dopo un’esperienza lavorativa nel nostro mondo occidentale, con un po’ di danaro guadagnato, sia pure con lavori umili, portano con sé anche qualcosa che tende a scardinare quei valori e quei principi finora consolidati nella loro cultura.
Il secondo segno. Dopo altre visite alla comunità delle Suore che ci ospitavano, aumentando ormai i giovani che si mostravano interessati alla vita monastica, occorreva ormai il permesso della nostra Congregazione per impiantare una fondazione, ma ottenemmo un primo diniego quando la nostra era ancora cassinese ed un altro ancora più duro una volta entrati a far parte della Congregazione Sublacense, che addirittura interpellò la Congregazione Silvestrina, presente in Sri Lanka da più di un secolo e mezzo, perché si interessasse dei giovani che si erano rivolti a noi che nel frattempo eravamo stati accolti nella diocesi di Kurunegala, il cui Vescovo, Dr. Harold Anthony Perera, ci aveva concesso in comodato gratuito una Chiesa dedicata a S. Teresa di Gesù Bambino, con un terreno e dei locali che avevamo già ristrutturato nel villaggio di Ilukhena. Interpretammo anche questo come un segno favorevole della divina volontà, sia perché avevamo raggiunto il predetto Vescovo per vie davvero provvidenziali che, per non dilungarmi troppo, non sto qui ad esplicitare, sia perché lo stesso Vescovo, visti i dinieghi dell’Autorità monastica, il 06/05/2016 decretò il riconoscimento giuridico della comunità giovanile che si era formata quale associazione pubblica di fedeli avente come Superiore maggiore il Priore dell’Abbazia di Farfa e come Superiore locale un monaco da lui nominato. E qui entra in scena il confratello che fin dall’anno 2012 accettò con spirito di obbedienza di trasferirsi in Sri Lanka e che quindi ebbe ufficialmente tale incarico. Si tratta di Don Massimo Lapponi che, tra l’altro, conoscendo bene la lingua inglese, può facilmente comunicare sia a livello ecclesiale sia a livello civile essendo tale lingua studiata e parlata dai srilankesi, sia di etnia cingalese, sia di etnia tamil.
Il terzo segno. La comunità giovanile andava crescendo, anche perché avevamo incominciato ad accogliere studenti, a partire dal 2° livello di quella che in Italia chiamiamo comunemente scuola superiore, cosicché i locali che avevamo ristrutturato non erano più sufficienti. E allora ci venne incontro spontaneamente una Signora benestante del posto che mise gratuitamente a nostra disposizione una villa di sua proprietà a poca distanza dalla nostra piccola casa. La divina provvidenza si sta pure manifestando nel darci attualmente la possibilità di costruire un vero e proprio monastero a ridosso della chiesa, a partire da una solida recinzione del vasto terreno, con ingresso architettonicamente ben strutturato.
Il progetto. Innanzitutto va precisato che il nostro progetto si è andato chiarendo ed ampliando nel corso degli anni fino a diventare un vero e proprio progetto missionario. Punto di partenza è stato il desiderio di una vita monastica più conforme alle origini del monachesimo, soprattutto riguardo alla dimensione contemplativa, da vivere con semplicità, in spirito di reale povertà, al di là anche delle pastoie di una Lex Propria artificiosa e scarsamente produttiva sul piano spirituale ed anche mortificante sul piano di autentiche relazioni fraterne, con tutte le scappatoie atte a favorire l’immobilismo e a coprire vere e proprie aberrazioni, anche sul piano umano. Capimmo subito che in Sri Lanka avremmo trovato la possibilità di soddisfare le nostre aspirazioni, sotto la guida dello Spirito del Signore e l’assistenza materna della B. V. Maria alla quale il nostro monastero di Farfa è dedicato fin dalle origini. L’incontro con un altra cultura ci avrebbe poi arricchiti spiritualmente e ci avrebbe dato pure la possibilità di contribuire, in comunione con la chiesa locale, all’inculturazione del Vangelo, anche in un clima di dialogo interreligioso. Tra l’altro proprio a breve distanza da noi c’è un monastero buddista a cui fa capo la maggioranza della popolazione del villaggio in cui ci troviamo, dove la minoranza cattolica è costituita appena da una quarantina di famiglie.
Soprattutto avremmo potuto venire incontro a tante necessità sul piano della carità, essendovi situazioni di povertà, a svantaggio soprattutto dei minori magari abbandonati da genitori emigrati altrove in cerca di lavoro o deceduti a causa di calamità naturali o di disagi che ne avevano accorciato la vita.
Un vero e proprio progetto missionario, quindi, che avrebbe giovato non poco anche a noi, considerando che la missione ha connotato il monachesimo benedettino fin dalle origini.
E così il progetto è in piena fase di attuazione, anche dal punto di vista vocazionale. I ragazzi e i giovani che accogliamo vengono innanzitutto educati sul piano umano e contestualmente cristiano, in cui si inserisce anche il discernimento vocazionale, cosicché quelli che evidenziano una chiara vocazione alla vita monastica ricevono una formazione di base, per poi venire in Italia per la formazione cosiddetta canonica (noviziato, professione temporanea, professione solenne e poi eventualmente anche il sacerdozio).
I primi frutti. Finalmente abbiamo a Farfa due professi temporanei di etnia tamil e due novizi, di cui uno di etnia cingalese e uno italiano. Un altro giovane cingalese verrà da noi nel corso del prossimo anno 2021, mentre gli altri stanno conducendo ad Ilukhena il percorso formativo di cui ho detto poc’anzi. Il che ci conferma che, nonostante gli ostacoli incontrati e nonostante le immancabili difficoltà che non mancano in loco, continuiamo con fede la nostra missione che, si spera, produrrà frutti ancora più maturi per una rifioritura di vita monastica a Farfa e per locale in cui operiamo in Sri Lanka. Senz’altro la B. V. Maria continuerà a guidarci e a sostenerci.
Tratto da ASCOLTA – PERIODICO DELL’ASSOCIAZIONE EX ALUNNI E AMICI DELLA BADIA DI CAVA (SA) Anno LXVIII • N. 208 • Agosto – Novembre 2020

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2 risposte a "La Missione Farfense in Sri Lanka"
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